Aubertin: il silenzio pittorico

Attraverso le opere di Bernard Aubertin (Fontenay-aux-Roses, 1934 – Reutlingen, 2015) si evidenzia una ricerca interiore presente in molti artisti trasversale alle correnti artistiche del ‘900 ed all’arte contemporanea. L’utilizzo del monocromatismo è esempio essenziale della condizione umana primordiale e semplice che si esprime in silenzio, si esprime esistendo, laddove l’opposizione fra lo sfondo e la figura viene completamente annullato, a fronte di una concezione universale di fusione fra spazio, superficie pura del supporto ed il colore, unico, potente con l’essere dell’artista.

La forma, l’immagine, il grafismo, le parole,  non riescono più spiegare il processo interiore dell’essere umano, che è così vasto e immenso, trovando così naturalmente la risoluzione di vari conflitti e spostando l’atto artistico oltre il visibile, oltre il concetto di idea ed opera.

Aubertin, dapprima con i suoi “Rouge Total“, successivamente con i Tableaux Feu (quadri fuoco),  passando poi tele monocrome rosse, con chiodi (Tableaux Clous), fil di ferro (Tableaux Fil de Fer), fiammiferi (Parcours d’Allumettes), utilizza il colore rosso quale interprete dei suoi più profondi tumulti interni, espressione  della rabbia, della forza  ed energia dell’animo e della vita stessa.

La potenza delle opere è dirompente ed è visibile in ognuna di esse,  come quanto  sia evidente la trasformazione interiore dell’artista e lo sforzo delle stesso verso l’evoluzione. Esempio emblematico è l’utilizzo del fuoco nei Tableaux Feu: Aubertin inserisce all’interno dell’opera dei fiammiferi che accende successivamente, lasciando al potere del fuoco la libertà di manifestarsi, di cambiare e trasformare l’opera, mentre lo spettatore è privilegiato testimone del processo catartico.

L’artista continua ad indagare questo tema anche negli anni ’80, ’90 creando delle vere performances in cui venivano dati alle fiamme oggetti di grandi dimensioni come pianoforti o automobili, spostando negli ultimi anni l’attenzione dall’utilizzo del colore rosso, al nero, bianco e oro. Esponente inoltre del “Gruppo Zero“,   movimento fondato a Dusseldorf nel ’61 dallo scultore Otto Pien,  da Heinz Mack,  Gunter Uecker.

 

Simona Iapichino

 

Foto in copertina Tableau Clous – ©Bernard Aubertin 

 

 

 

 

 

 

 

Simona Iapichino: il pensiero artistico

Ho sperimentato attratta dalla fusione fra le parole ed il colore, la pittura automatica, sintesi di ogni mio pensiero incoscio.
Tutto ciò che avviene sulla tela è il prodotto della voce della mia parte più nascosta, sulla quale non ho il minimo controllo.
Dipingo con il colore puro direttamente sulla tela.
L’emozione si cristallizza sulla tela nel momento in cui viene sparso il colore, poi non sarebbe la stessa cosa.
Quando dipingo, i miei occhi sono attratti da più colori e la matericità dà vita a forme sconosciute ed a parole nascoste.
Dietro ad ogni pennellata c’è un messaggio sorprendente.
Il gesto è rapido ed impetuoso e non si ferma con il limite della tela.
L’Emozione fa muovere il pennello e li’ davanti ai miei occhi, prende vita parte della mia anima.
Ogni opera è unica, non eseguo riproduzioni.

Simona Iapichino

Surrealismo: tra pittura e scrittura automatica

“Fatevi portare di che scrivere, dopo esservi sistemato nel luogo che vi sembra più favorevole alla concentrazione del vostro spirito in se stesso. Ponetevi nello stato più passivo, o ricettivo, che potrete. Fate astrazione del vostro genio, delle vostre doti e da quelle di tutti gli altri. Scrivete rapidamente senza un soggetto stabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di rileggere[…]”

Con queste parole André Breton, leader carismatico del pensiero surrealista, nel suo Manifesto, redatto nel 1924, fa una summa della “magica arte” la ricerca dell’ “altrove“, l’astrazione, la perdita dello stato di coscienza, per mezzo della scrittura automatica.
Traendo ispirazione dalle teorie Freudiane sull’inconscio, come guida di tutte le azioni e pensieri, del sogno, come linfa per l’immaginazione, crea un nuovo modello di fare arte, sganciandosi completamente dalle idee razionaliste e positiviste, che a lungo avevano represso la purezza dello spirito dell’artista.

La critica di una società aristocratica, borghese e materialista, che ritenne essere direttamente responsabile della Prima Guerra Mondiale, è potente e rivoluzionaria e questa anti-arte trae humus da ciò.
Le immagini surrealiste, funzionano come quelle dell’oppio che non è più l’uomo ad evocare, ma che

“gli si offrono spontaneamente, dispoticamente. Egli non può congedarle; perché la volontà è senza forza e non controlla più le facoltà”

Qui Breton cita la critica di Baudelaire: la considerazione che il processo messo in atto dalle immagini surrealiste sia quasi assimilabile a quello dell’effetto di una droga.
Nel 1919, insieme allo scrittore e giornalista Philippe Soupault, dopo il suicidio dello scrittore ed amico Jacques Vaché, compone i primi versi di scrittura automatica, pubblicati lo stesso anno, sotto il titolo Les Champs magnétiques ( I campi magnetici).
Il metodo della scrittura automatica aiuta ad entrare in contatto con il proprio Se’ interiore, estraniando il pensiero ed inizia ad essere presente nelle arti figurative surrealiste.

“La mano dell’artista vola libera è attratta dal suo stesso movimento e da nient’altro e descrive le forme che affiorano arbitrariamente..”(André Breton)

Simona Iapichino

Jackson Pollock:” Sono nel dipinto”

“La mia pittura non scaturisce dal cavalletto. Preferisco fissare la tela non tesa sul muro o per terra. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Sul pavimento sono più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del dipinto, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorare sui quattro lati ed essere letteralmente nel dipinto. È simile ai metodi dei pittori di sabbia indiani dell’Ovest…Quando sono “nel” mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una specie di ” presa di coscienza” vedo ciò che ho fatto. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l’immagine, ecc., perché il quadro ha una vita propria. Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato è caotico.”

Dai pensieri di Jackson Pollock, scaturisce l’interiorità potente dell’artista, che si sente parte del dipinto stesso e comincia a danzarvi attorno, libero dai limiti del cavalletto. Vi è una connessione inconscia sottile fra l’animo dell’artista e la matericità dell’opera. Il colore gocciola, si espande, prende forma da una linea prima sottile, poi più intensa di un cromatismo quasi mistico e talvolta violento. Lo spirito artistico di Pollock è fortemente influenzato dal automatismo pittorico surrealista, in special modo da André Masson, artista che ammirava moltissimo e dall’arte primitivista dei nativi americani.
Questo viaggio artistico sciamanico è legato alla volontà dell’artista di esprimere la sua realtà fisica e spirituale in un’unica unità. L’utilizzo della tecnica della sand painting dei nativi unita alla commistione surrealista, genera in Pollock la visione inconscia di una pittura fatta di drippings (la gocciolatura del colore), di libertà e passione, rendendola pittura dell’azione.

La sublimazione fra il lirismo e lo sradicamento dal convenzionale, dona all’artista quella “chiarezza di spirito“, come la definisce il poeta Franck O’Hara,

“che può essere il fine ultimo dell’artista, ma per l’uomo è estremamente difficile da sostenere”.

Jackson Pollock, artista straordinario, forte quanto fragile, é ricordato nelle parole del pittore Larry Rivers, dopo la seduta settimanale con il suo analista Junghiano:

“Ora di sera era piuttosto ubriaco, entrava traballando e faceva una scenata. Era il classico americanaccio rissoso quando ha bevuto… Quando non aveva bevuto era sempre imbronciato. Ma aveva un certo potere. Lo sapevi. Quando era in una stanza sentivi la sua presenza. Molto. […]”

Simona Iapichino

La pittura automatica di André Masson

Interessante esempio di pittura automatica è André Masson. La sensibilità di Masson, profondamente sconvolta dal trauma della guerra, si è lasciata trasportare dall’immaginazione surrealista e nel 1924, durante la sua prima mostra personale, incontra Breton ed inizia a sperimentare i suoi “disegni automatici“.
I disegni, vengono stampati nel primo numero della rivista “La Révolution Surréaliste” e la loro denominazione rappresenta una variante di scrittura automatica. Lo stato di “Furore” , come lo definisce lo stesso Masson, lo aiuta nella connessione magica con la linea, unico elemento che gli permette la creazione di immagini allucinatorie, nuove alla sua parte razionale. Le sue opere sembrano un intreccio di immagini del tutto casuali, ma l’occhio dell’osservatore vede oltre ed interpreta quelle immagini, in figure concrete. E’ come se l’artista facesse in dono allo spettatore la possibilità di ampliare le proprie percezioni.
Le sperimentazioni di Masson continuano in una ricerca estrema di automatismo pittorico, prima con l’uso della sabbia, successivamente con l’ausilio del colore puro, sulla tela, per non alterare la spontaneità del gesto pittorico, come accadrà’ nell’ Action Painting di Pollock
Evolve, nella rabbiosa volontà di esternare la violenza e la morte che lo circondano, i suoi quadri diventano sempre più materici. Costretto a fuggire dalla Francia, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, a causa della messa a bando dei suoi lavori, considerati “[B]arte degenerata[/B]” dal regime nazista, raggiunge le coste statunitensi e si stabilisce nel Connecticut e con le sue opere influenzerà molto gli espressionisti astratti e lo stesso Pollock.

Simona Iapichino